La protesta
Famiglia nel bosco: a Roma genitori scendono in piazza contro gli allontanamenti dei figli
di Jacopo Forcella

Tennis o pallavolo, nuoto o calcio. La scelta dello sport per amplificare, esaltare, potenziare le attitudini dei bambini. Non perché la piscina si trova proprio dietro casa o perché il compagno a scuola fa calcio e allora meglio accodarsi o peggio ancora per soddisfare le ambizioni di un padre che sogna il figlio calciatore. E allora come si fa a scegliere lo sport giusto per i propri figli? Una scelta facile solo in apparenza. «Dentro a questa decisione ci sono tantissime implicazioni. Scegliere la giusta strada a questa età implica una serie di valutazioni che non possono più essere tralasciate». Il professore Gianpaolo Pisano, preside della Facoltà olistica di scienza del benessere e dello sport e professore ordinario di anatomia funzionale e fisiologia, nutraceutica e omeopatia, è un medico illuminato, uno di quelli che considera l’insieme e non il particolare, uno che parlando di disciplina sportiva allarga il campo alla psicologia, alla fisiologia, fino ad arrivare all’antropologia e alla filosofia esistenzialistica tedesca. «Tutto parte dalla struttura dell’Io, occorre parlare di coscienza. Anche nella scelta dello sport non possiamo più permetterci lo sbaglio di considerarlo come una mera attività fisica o un riempitivo per il pomeriggio dopo la scuola. Lo sport è educativo, guai però a sbagliare scelta».
Professor Pisano a cosa devono stare attenti i genitori che devono decidere per il proprio figlio uno sport?
«Come diceva il mio maestro, il professor Granata, il buon medico deve partire dall’osservazione. Capire se il bambino è caratterizzato da introversione o estroversione. Se insomma è un soggetto con una attitudine verso il mondo o piuttosto è concentrato verso il proprio mondo interiore. Già questo primo dato caratterizza e aiuta nella valutazione. L’osservazione da parte dell’adulto è il primo mattoncino per generare un interfaccia utile. Poi, ci sono tre elementi che dobbiamo considerare».
Quali sono?
«L’inquadramento del carattere, la predisposizione fisica e le dinamiche interpersonali che sono così diverse da bambino a bambino».
Come fare a orientarsi? Meglio uno sport di squadra o singolo?
«È importante avere una piattaforma di relazioni certo, ma è ancora più importante, un altro aspetto che a volte è sottovalutato: la dinamica entro la quale la personalità interagisce».
In che senso?
«Mi spiego con un esempio: come in un gioco di ruoli nella disciplina sportiva è importante poter sperimentare. Le posizioni in cui si gioca non dovrebbero mai essere fissi, ma intercambiabili in cui si prova a giocare in ruoli diversi. È in questa continua dinamiche che la personalità ha modo di interagire e sperimentare».
E non è così?
«Purtroppo la realtà a volte è diversa: per vincere una partita l’allenatore preferisce tener conto delle attitudini fisiche. Invece lo sport a questa età dovrebbe servire a migliorare e potenziare a partire dalla presa di consapevolezza del bambino, sperimentare le proprie possibilità, come una sorta di esperimento sociale che se funziona rafforza la personalità che contribuisce a costruire una sicurezza personale più stabile. Insomma una vera e propria crescita».
A che età è consigliabile iniziare l’attività sportiva?
«Fondamentale è distinguere la scelta di uno sport dall’attività agonistica che non dovrebbe iniziare prima dei 14 anni».
Quanto è importante l’atteggiamento dell’allenatore?
«Fondamentale. Se è un buon allenatore, deve perseguire il benessere del bambino e non il risultato. Puntare alla sua crescita, costruire un buon orizzonte emotivo».
Grazie a campioni come Sinner il tennis sta avendo un aumento di iscritti. Per i bambini funziona?
«Il tennis è uno sport emotivamente complicato che porta l’individualismo all’esasperazione. Sei solo davanti a te stesso, una partita da giocare più con le tue emozioni che con l’avversario dall’altra parte della rete. Per un bambino introverso potrebbe non essere l’ideale. Non è un caso che Sinner sia stato criticato per il suo individualismo, come quando non accettò l’invito del presidente della Repubblica Mattarella».
Perché tutta questa attenzione al carattere?
«Perché lo sport dovrebbe essere un incontro da qualcosa che è altro da se. Quando funziona è un’esperienza bellissima. Dirompente. Sorprendente. Filosofi esistenzialisti come Karl Jaspers o Martin Heidegger avevano già posto l’accento sull’importanza dell’incontro dall’altro da se, dell’altro. L’esistenza è un’esperienza nel mondo dove tutto diventa parte della struttura dell’Io. Insomma noi siamo una continua contaminazione con gli stimoli esterni, che in definitiva rimandano alla coscienza».
Cosa c’entra la coscienza con lo sport?
«Fare uno sport sbagliato, che da informazioni sbagliate crea un trauma nella crescita. Sia fisica che mentale. La coscienza c’entra perchè non si può più pensare di distinguere. La relazione con la natura, il dialogo che si sviluppa anche con lo sport non è separato dagli organi per svilupparsi in modo armonico».