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Il caso

Chieti, il Comune non installa la panchina rossa contro la violenza di genere e i cittadini la spediscono a Mattarella per protesta

L'amministrazione da quattro anni si rifiuta di posizionare l'arredo: «Ce n'è già una simile in un parco pubblico

La panchina rossa della discordia
La panchina rossa della discordia
di Redazione Chieti
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CHIETI. Sarà imballata e spedita direttamente al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, la panchina rossa acquistata nel 2021 da un gruppo di cittadine di Villa Santa Maria e mai collocata in uno spazio pubblico. Potrebbe essere l'epilogo clamoroso di una vicenda che da quattro anni oppone il comitato promotore - coordinato da Mauro Carbonetta - e l'amministrazione comunale guidata dal sindaco Giuseppe Finamore.

Il simbolo contro la violenza di genere

La panchina, simbolo della lotta contro la violenza di genere, è stata acquistata da un gruppo di donne, che si sono autotassate, per piazzarla nella centralissima piazza Martiri della Resistenza, previo nulla osta del Comune. L'autorizzazione però non è mai arrivata.

Il diniego del Comune

L'amministrazione ha motivato il rifiuto sostenendo che nel paese è già presente un arredo urbano analogo in un giardino pubblico. Una spiegazione giudicata «sconcertante» dal comitato e dalle organizzazioni che hanno sostenuto l'iniziativa, tra cui Udi (Unione Donne Italiane) e Stati Generali delle Donne Abruzzo.

La collocazione provvisoria

Da allora, la panchina è stata collocata provvisoriamente in un'area privata. Nei mesi successivi, riferisce Carbonetta, numerose comunicazioni indirizzate al Comune sarebbero state inutili, non hanno portato alla soluzione del problema.

La decisione finale del comitato

«Noi abbiamo seguito tutte le procedure, con richieste ufficiali sostenute anche a livello regionale e nazionale. Ci saremmo aspettati un atto dell'amministrazione che recepisse l'iniziativa e rendesse effettiva la donazione». Invece nulla si è mosso. Il comitato ha quindi deciso di impacchettare la panchina e indirizzarla al Quirinale, allegando l'intera documentazione della vicenda, condivisa anche con la Fondazione Giulia Cecchettin.

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