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Bonus mamme lavoratrici, conto alla rovescia: requisiti, importi e scadenze da non perdere
di Redazione cronaca

Un emendamento presentato da Fratelli d’Italia alla legge di bilancio 2026 potrebbe cambiare radicalmente il destino della cannabis light in Italia. La norma, firmata dal senatore Matteo Gelmetti, prevede la possibilità di commercializzare prodotti derivati dalle infiorescenze di canapa sativa con contenuto di THC fino allo 0,5%, ma introduce una pesante imposta di consumo pari al 40% del prezzo di vendita al pubblico.
Il contesto normativo
La misura rappresenta una retromarcia rispetto al decreto Sicurezza, approvato nel giugno 2025, che aveva vietato produzione, vendita e distribuzione delle infiorescenze di canapa e dei loro derivati. Quel provvedimento aveva equiparato la cannabis light alle droghe, colpendo duramente una filiera composta da circa 3mila imprese e 22mila lavoratori, puniti di fatto come narcotrafficanti.
Modalità di vendita
Secondo l’emendamento, la commercializzazione sarebbe affidata all’Agenzia delle dogane e dei monopoli, con autorizzazioni riservate a soggetti già abilitati alla gestione dei depositi fiscali di tabacchi lavorati. In pratica, la cannabis light potrebbe essere venduta solo da tabaccai e rivendite specializzate. La proposta introduce inoltre:
Le criticità
La tassa del 40% rischia di mettere in difficoltà le aziende del settore, già provate dalle restrizioni del decreto Sicurezza. Molti operatori temono che il nuovo regime fiscale renda insostenibile la produzione e la distribuzione, vanificando la riapertura del mercato.
Attesa per le decisioni parlamentari
La proposta è ora al vaglio delle Commissioni parlamentari. Se approvata, entrerà nel testo definitivo della manovra 2026, segnando un cambio di rotta significativo per produttori e rivenditori.
Il fronte giudiziario
Parallelamente, la questione cannabis light approda anche alla Corte costituzionale. Dopo il sequestro di un carico di prodotti a Brindisi, il tribunale locale ha sollevato dubbi sulla legittimità del divieto imposto dal decreto Sicurezza. La Consulta dovrà stabilire se la norma sia incostituzionale: un’eventuale bocciatura aprirebbe la strada a numerosi ricorsi e rischierebbe di gettare l’intera filiera nel caos.